GIUSTIZIA, SARAVALLE (FARE): SERVE UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA /INTERVISTA

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GIUSTIZIA, SARAVALLE (FARE): SERVE UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA /INTERVISTA

(Public Policy) – Roma, 24 gen – (di Gaetano Veninata) Per
la giustizia italiana ci vuole una “rivoluzione
copernicana”, per 20 anni abbiamo vissuto tutto in chiave
“politicizzata e manichea”. Alberto Saravalle, professore di
Diritto dell’Unione europea a Padova, tra i fondatori di uno
dei principali studi legali italiani, è oggi il responsabile
Giustizia di Fare per Fermare il declino, il movimento
fondato, tra gli altri, dal giornalista Oscar Giannino e
dall’economista Luigi Zingales.

Il suo approccio è pragmatico: prima intervenire con il
bisturi per migliorare, “subito”, la macchina della
giustizia; solo dopo far partire la fase 2, ovvero
intervenire anche a livello costituzionale su vari aspetti
più istituzionali.

D. QUAL È L’APPROCCIO DEL VOSTRO MOVIMENTO, INCENTRATO
MOLTO SUI TEMI ECONOMICI, AL TEMA GIUSTIZIA?
R. Il nostro approccio è molto chiaro. Per 20 anni quando
si è parlato di giustizia si è parlato in chiave
politicizzata, opportunistica e manichea. Su temi, tra
l’altro, che hanno un forte interesse per un numero molto
limitato di personaggi: intercettazioni, immunità delle alte
cariche dello Stato e separazione delle carriere. Io ad
esempio di persone toccate dalle intercettazioni non ne
conosco.

D. E QUALI SONO I PROBLEMI CHE RIGUARDANO LE PERSONE?
R. Bisogna riportare il dibattito sulle vere cose urgenti
che toccano la massa delle persone: dalla multinazionale,
alla piccola impresa, alle persone qualunque che hanno un
problema con la giustizia. Il malfunzionamento della
giustizia costa l’1% del Pil (lo dice Bankitalia), mentre
abbattere anche solo del 10% i tempi di risoluzione delle
cause consentirebbe lo 0,8% di Pil di guadagno all’anno (lo
dice Confindustria).

La giustizia civile è inefficiente, causa distorsioni per i
tempi biblici enormi che ci sono, e questo fa sì che la
gente non investa. Spesso dall’estero le società chiedono:
‘Quanto ci vuole per una causa?’. E la risposta è 9 anni per
arrivare in Cassazione, 1.500 giorni fino all’Appello. Per
questo poi gli stranieri hanno paura a investire e il
mercato del credito è poco sviluppato, ci sono asimmetrie
nei tassi d’interesse.

Ci sono studi, da anni, di Bankitalia, che dimostrano come
nelle zone del Paese dove sono più lunghe le procedure di
esecuzione mobiliare e immobiliare si paga un tasso più
alto. Così come dove ci sono più incidenti automobilistici,
a Napoli ad esempio, l’assicurazione costa di più che da
altre parti.

D. E PERCHÈ?
R. Nel 2010 (ultimi dati disponibili) le cause per
Responsabilità civile auto erano poco meno di 300 mila. Il
52,6% di queste era nel solo distretto di Napoli. E il 4,3%
a Salerno. Si capisce che è un business. A Napoli cambiano
la residenza per andare ad assicurarsi a Roma perché costa
meno. Queste distorsioni le pagano i poveri cittadini che
hanno solo la sfortuna di vivere lì.

D. QUAL È IL PROBLEMA PRINCIPALE?
R. Abbiamo una marea di cause pretestuose, non perché gli
italiani siano fisiologicamente amanti del litigio, ma
perché il sistema incentiva la gente a fare causa. Bisogna
intervenire in maniera da evitare la proliferazione di
giudizi pretestuosi. In Italia abbiamo 4 mila cause ogni 100
mila abitanti: il doppio della Germania e il 43% più della
Francia. Questi abusi si traducono in una limitazione del
diritto di accesso alla giustizia, ovvero avere in tempi
ragionevoli una sentenza equa.

D. E COME SI PUÒ INTERVENIRE?
R. Ci sono alcuni interventi che si possono fare in tempi
rapidi: tranne che per le cause commerciali, per tutte le
altre il tasso di interesse che si paga è fissato ogni anno
dal ministero dell’Economia con un decreto: adesso è il 2,5%.

Mettiamo che lei mi deva 100 mila euro e non me li voglia
dare. Va dal suo avvocato, si informa, non mi paga. Io le
faccio causa e ci vorranno 4-5 anni perché ottenga una
sentenza a mio favore e a questo punto lei mi pagherà
interessi al 2,5%. Mentre io mi finanzio in banca al 7-8%.
Quindi di fatto è il sistema che incentiva lei a non pagarmi.

E ancora: per ogni causa lo Stato recupera il 10% di ogni
costo. La media in Europa è del 28,3%. Se noi prevedessimo
che chi perde la causa paga una quota ulteriore allo Stato,
questo potrebbe dissuadere ad agire temerariamente e il
ricavato potrebbe servire per assumere nuovi giudici e
introdurre nel mondo del lavoro i giovani laureati.

Sicuramente dobbiamo inoltre stabilire un programma di
smaltimento delle cause in corso, favorendo transazioni,
soluzioni alternative, anche incentivandole fiscalmente per
un periodo limitato. Altro strumento può essere incentivare
l’uso delle polizze legali come in altri Paesi.

D. LA LEGGE ANTICORRUZIONE DEL MINISTRO SEVERINO VA
RITOCCATA?
R. La montagna ha partorito un topolino. Io credo che sia
paradossale dover fare una legge per dire che un condannato
in via definitiva non è candidabile. Dirlo per legge vuol
dire arrendersi. Può essere potenziata, è stato frutto di un
compromesso leggero. Si può fare molto di più, credo ad
esempio che il principale disinfettante contro la corruzione
sia la trasparenza. Ci sono modelli anglosassoni per cui
tutti i contratti oltre un certo valore devono essere messi
online, ci vuole un controllo diffuso di tutto quello che
avviene.

Noi abbiamo una proposta per favorire la denuncia di questi
reati. In inglese si parla di ‘whistleblower’. Ovvero: se
qualcuno rivela una rete di corruzione devono essere
previsti pesanti sconti di pena (o addirittura l’immunità) e
incentivi economici. Mario Rossi funzionario del Comune X
sospetta qualcosa? Deve avere l’obbligo di denunciare, ma ha
anche incentivi economici a farlo.

D. COSA FARE PER LE CARCERI?
R. La situazione è gravissima. Due i problemi principali:
il numero eccessivo di persone in carcerazione preventiva,
una cosa indecente. Il 40% di detenuti è in custodia
cautelare. La carcerazione preventiva dovrebbe essere
un’eccezione quando non ci sono ulteriori possibilità, come
il braccialetto elettronico. Poi: bisognerebbe introdurre
pene alternative per i condannati non pericolosi. E ancora:
i reati di microcriminalità legati alla droga? Magari stando
in carcere diventano grandi spacciatori. Ci sono pene
alternative socialmente utili.

Nel medio termine, poi, bisogna costruire altre carceri.
Sono favorevole ad affidare a privati, tramite appalti
pubblici, i servizi di gestione degli istituti di pena, con
l’esclusione dei servizi di sorveglianza. E dovremmo
utilizzare una quota di fondi riportando educazione
all’interno del carcere. Spendere meno e meglio.

D. SE CI FOSSERO LE CONDIZIONI PARLAMENTARI, SARESTE
FAVOREVOLI A PROVVEDIMENTI DI AMNISTIA?
R. Credo che l’amnistia possa essere fatta in situazioni
d’emergenza, bisogna ragionarci e vedere quali sono i numeri
e a chi verrebbe estesa. Ma il problema è che chi ha
commesso reati seri, per esempio finanziari, non va in
prigione per il gioco della prescrizione. L’anno scorso
abbiamo avuto 128 mila prescrizioni e 80 mila decreti di
archiviazione; mentre il poveraccio, che non è un angelo
perché ha pur sempre violato la legge, viene sicuramente
chiuso in carcere. Bisognerebbe insomma invertire la
piramide, rivedendo i meccanismi della prescrizione.

D. QUAL È IL SUO GIUDIZIO IN MERITO ALLE POLEMICHE SUI
MAGISTRATI IN POLITICA?
R. Come tutte le categorie sarebbe assurdo limitarne la
partecipazione alla vita politica. Quello che a me non piace
è l’utilizzo strumentale della star della magistratura come
se fosse un campione sportivo. Il resto è legittimo, fa
parte della coscienza civile di una persona. Bisogna
distinguere tra fisiologia e patologia. Se un magistrato usa
strumentalmente la propria notorietà per diventare una star
mediatica è un abuso.

D. L’OBBLIGATORIETÀ DELL’AZIONE PENALE: È UN MECCANISMO
CHE VA RIVISTO?
R. La verità è che di fatto le priorità ci sono e i
magistrati dicono già ‘questo è urgente e questo no’. Ma è
per colpa del fallimento dello Stato, perchè non si riesce a
fare tutto. Non è un tabù, dunque, ma va ripensata
nell’ottica di quella che chiamo fase due, quando si
potranno affrontare anche altri temi come la carriera dei
magistrati, per introdurre il concetto di merito rispetto a
quello di anzianità.

D. E SULLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE?
R. Difficile parlarne oggi perchè la questione è stata
troppo politicizzata. Sono favorevole in un’ottica di
specializzazione, allora avrebbe un senso, come una
revisione delle attuali norme sulla rotazione dei giudici.

D. ALTRO TEMA DIBATTUTO IN QUESTI GIORNI È QUELLO DELLA
RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI. COSA NE PENSA?
R. Tecnicamente è stata introdotta, ma di fatto i casi in
cui la responsabilità civile è stata accertata sono stati
pochissimi. Credo sia un principio sacrosanto: siamo tutti
soggetti al principio di responsabilità. Ovviamente tra il
fatto che non si debba abusarne per intimidire i giudici e
il fatto che ci debba essere una sorta di quasi impunità,
c’è una via di mezzo.

Sono 406 ad oggi le cause intentante dai cittadini per dolo
o colpa grave: si passa attraverso 9 gradi di giudizio e il
filtro del ministero della Giustizia. Sono solo 34 le
citazioni ammesse e 4 le condanne finali. Capisce che come
sempre ci sono i princìpi e ci sono le regole, ma alla fine
qualcosa non funziona. (Public Policy)

GAV